Thomas Clement Salomon
Leggi i suoi articoliAlbert C. Barnes (1872-1951) non nacque nell’agiatezza, ma da una famiglia operaia. Circostanza, tuttavia, che non gli impedì di istituire uno dei musei più interessanti d’America, la Barnes Foundation di Filadelfia, sorprendente per l’inaspettata quantità di Picasso, Van Gogh, Matisse e Renoir custoditi al suo interno. Le modalità espositive sono davvero inconsuete, ma la collezione di arte moderna europea esposta è tra le più complete al mondo.
Eccelso studente in medicina, Albert C. Barnes si laureò molto presto, facendo fortuna nel campo farmacologico grazie alla coinvenzione di un antisettico. Fu un grande collezionista d’arte sin dal 1912, quando iniziò ad acquistare dipinti moderni. Era spesso consigliato dal pittore William Glackens, suo amico d’infanzia che in quello stesso anno si recò a Parigi per acquistare per conto di Barnes 33 dipinti, tra cui «Giovane donna con una sigaretta» di Picasso del 1901 e «Il Postino» di Van Gogh del 1889.
Traendo ispirazione dagli insegnamenti del filosofo John Dewey, Barnes cercò di trasmettere l’amore per le arti ai suoi dipendenti. Credeva fortemente in ciò che Dewey sosteneva: «La conoscenza e l’educazione sono fondamentali per la democrazia». Barnes aveva assunto diverse donne e persone di colore, in contrasto con le usanze discriminatorie dell’epoca, e interrompeva quotidianamente la produzione in fabbrica per discettare di arte e filosofia, con vere e proprie lezioni della durata anche di un paio d’ore.
Il suo metodo di insegnamento era focalizzato sullo sviluppo del pensiero critico, sullo sguardo attento alle opere e sul contatto prolungato con i testi figurativi originali. Questa tipologia di insegnamento prese forma anche grazie a Violette de Mazia, stretta collaboratrice del collezionista. Tale virtuosa attività si trasformò in modo ancor più strutturato nel 1922, quando Barnes acquistò un terreno coltivato ad alberi da frutto a Merion, in Pennsylvania, per realizzare una residenza e una galleria d’arte progettati dall’architetto Paul Phillippe Cret, la prima sede della Barnes Foundation. Venne così intrapreso un esperimento educativo. La nuova struttura era il frutto del successo dell’insegnamento ai dipendenti e del continuo acquisto di opere d’arte.
Per ampliare la collezione Barnes si recò a Parigi, dove conobbe sia Gertrude e Leo Stein, dai quali acquistò alcune opere di Matisse, sia il mercante d’arte Paul Guillaume, che gli vendette una raccolta di arte africana.
Per la gestione della collezione in seguito alla sua morte escogitò diverse disposizioni, tra cui consentire l’ingresso al pubblico solo due giorni alla settimana per favorire la presenza degli studenti. Vietò inoltre le riproduzioni a colori delle immagini delle opere e il prestito delle collezioni per mostre o altre iniziative. Nei decenni successivi furono adottate misure diverse per far fronte al cambiamento dei tempi e delle esigenze. In seguito a varie azioni legali fu consentito al pubblico di fruire della collezione, alleggerendo le limitazioni volute dal fondatore.
Negli anni Novanta la Fondazione versava in una difficile situazione finanziaria, che fu in parte arginata con un tour internazionale della collezione: dal 1993 al 1995 più di ottanta opere impressioniste e post-impressioniste furono presentate in diverse città, come Parigi, Tokyo e Washington D.C., per una mostra itinerante di grande successo.
I fondi ricavati non furono però sufficienti a risanare le finanze, i cambiamenti dovevano essere più radicali. Si rese necessario allargare il consiglio di amministrazione per attrarre donatori di capitale, ma tali benefattori erano riluttanti all’idea di elargire denaro alla Fondazione se non fosse diventata maggiormente accessibile al pubblico. Merion era una sede troppo isolata e si valutò l’opzione di esporre le opere nel Philadelphia Museum of Art, celebre per la sua collezione e anche per la scalinata su cui si allenava Rocky Balboa.
Nel 2012, al termine di un lungo percorso giudiziario, la Barnes Foundation fu così trasferita da Merion a Filadelfia, in uno spettacolare edificio progettato sulla Benjamin Franklin Parkway, a pochi passi dal Philadelphia Museum of Art. Il progetto, degli architetti Tod Williams e Billie Tsien, è stato realizzato grazie a una raccolta fondi di 200 milioni di dollari (150 per la costruzione dell’edificio e 50 in dotazione al museo).
Gli spazi della nuova sede sono stati configurati per replicare le proporzioni delle gallerie di Merion e l’allestimento delle opere mantenuto fino al 1951, anno della morte del fondatore, salvaguardando il modo di intenderle e l’esperienza che Barnes voleva condividere: capolavori di Picasso o Van Gogh accanto a oggetti di uso domestico. Gli ensemble ideati dal dottor Barnes comprendevano manufatti di varie culture, molto diversi tra loro ed esposti uno accanto all’altro. Tali raggruppamenti svolgevano una funzione didattica, tracciando somiglianze visive tra oggetti non immediatamente accostabili.
La collezione comprende più di 4mila pezzi tra cui oltre 900 dipinti, principalmente impressionisti, post-Impressionisti e delle avanguardie del primo Novecento: oltre 150 Renoir, una sessantina di Cézanne (tra cui «I giocatori di carte»), una cinquantina di Matisse (tra cui i tre pannelli raffiguranti «La Danza»), varie decine di Picasso (alcuni del Periodo blu), e poi ancora le «Modelle» di Georges Seurat e diversi Van Gogh, Monet e Gauguin solo per citarne alcuni. Vi sono anche opere antiche provenienti da Cina, Egitto e dal mondo greco romano e una raccolta di arte africana.
Ancora oggi la missione della Barnes Foundation è di promuovere il progresso dell’istruzione e l’apprezzamento delle arti. Un obiettivo che persegue da sempre grazie allo spirito impresso dal suo fondatore, convinto che «l’arte migliora la mente e trasforma la vita».
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